La celebrazione del “Giorno della Memoria” coincide quest’anno nel nostro Paese con il triste anniversario delle cosiddette Leggi Razziali, in realtà un insieme di provvedimenti legislativi e amministrativi (leggi, ordinanze, circolari, ecc.) in vigore nel nostro Paese dal 1938 fino al 1944, allorquando furono abolite, almeno nel Regno del Sud, con i regi decreti legge nn. 25 e 26 del 20 gennaio, – approvate ottanta anni fa dal fascismo.
Esse furono promulgate da Vittorio Emanuele III, dimentico forse, lui così pur legato alla dinastia e alla tradizione dei Savoia, che era stato un suo antenato, Carlo Alberto nel 1848 a emanare quelle Lettere patenti che concedevano per la prima volta nel bel Paese i diritti civili a Valdesi ed Ebrei.
È dunque inevitabile, e forse anche doveroso, che nella celebrazione del Giorno della Memoria 2018 si faccia un puntuale riferimento a tali leggi “infami” anche alla luce di un certo risorgente razzismo che dalle piazze dei tanti nostalgici affiora, come un fiume carsico finora tenuto ben nascosto, nelle dichiarazioni pubbliche, poi smentite e/o reinterpretate, di taluni candidati a prestigiose cariche elettive.
Non è dunque un caso che l’Associazione Culturale Anassilaos celebri il giorno della memoria con una conversazione del Prof. Antonino Romeo sul tema “L’Italia e la Shoah/dalle leggi razziali alle deportazioni” che si terrà sabato 27 gennaio alle ore 17,00 presso la Biblioteca di Palazzo Alvaro, sede della Città Metropolitana, stabilendo un rapporto preciso tra quelle Leggi – e il clima politico che le ha ispirate – e le successive deportazioni effettuate durante l’occupazione nazista di parte dell’Italia e nella Repubblica di Salò. Pensiamo, per fare soltanto un esempio, al rastrellamento del ghetto di Roma.
A ottanta anni di distanza – si rileva in una nota del sodalizio reggino – non si può che restare basiti a rileggere quel Manifesto degli scienziati razzisti (noto anche come Manifesto della Razza), pubblicato originariamente in forma anonima sul Giornale d’Italia il 15 luglio 1938 col titolo Il Fascismo e i problemi della razza, quindi ripubblicato sul numero uno della rivista “La difesa della razza” il 5 agosto 1938, firmato da 10 autorevoli scienziati – quella che si poteva considerare al tempo la parte migliore della società italiana – con l’adesione, successiva, di altrettanti studiosi e docenti universitari.
Si prova un grande turbamento nel cogliere elementi di razzismo in tanta parte della stessa Chiesa italiana, nonostante alcune prese di posizione, forse troppo caute, di Papa Pio XI che lasciano intravvedere e prevedere la cautela successiva di Pio XII e nel rilevare, ancora una volta l’opportunismo di sempre, vera malattia del “carattere italiano”, e l’aspirazione di tanti docenti ad occupare quelle cattedre lasciate libere dai professori ebrei epurati.
L’Italia repubblicana – prosegue la nota di Anassilaos – non ha mai fatto veramente i conti con il proprio passato – forse perché a quel tragico passato appartenevano anche personalità che ormai facevano parte a pieno titolo della classe dirigente della Repubblica – e, nonostante qualche epurazione, anche coloro che, pur a diverso titolo di responsabilità, sono stati gli ideologi, i promotori e i firmatari del Manifesto nonché i collaboratori della rivista La difesa della razza, che vide il suo primo numero il 5 agosto 1938 e venne stampata, con cadenza quindicinale, fino al 1943, sono rimasti al loro posto e il loro nome spesso denomina strade, piazze e finanche scuole di questa nostra Italia.